L’ILIADE DI SCALFARI E DI BARICCO È UN EQUIVOCO di Giovanni Cerri
I miei colleghi classicisti dell’Università e dei Licei sono in genere abbastanza soddisfatti per un certo rilancio mediatico di Omero oggi in atto: film, spettacoli teatrali, paginoni sui principali quotidiani a tiratura nazionale. Con i tempi che corrono per lo studio del greco e del latino, tutto fa brodo; se un po’ di chiasso intorno ad Omero finisse per incrementare il numero degli studenti interessati a quelle discipline, sarebbe comunque una boccata d’aria. Da questo punto di vista, potrei anche essere d’accordo. Tuttavia mi sembra che qualche riflessione il fenomeno, per come si sta realizzando, la meriti. Il film Troy è dichiaratamente un colossal-fumettone, che non ha e non vuole avere a che fare davvero niente col testo dal quale è stata tratta la sceneggiatura. Il recital di Alessandro Baricco è una pubblica lettura non dell’“Iliade”, ma di un sunto-rifacimento elaborato da Baricco stesso in funzione dello spettacolo. Film e recitazione hanno avuto entrambi grande successo di pubblico, dando così ragione alle scelte dei loro autori. Dunque nulla da obiettare. Ma Baricco ha poi pubblicato il suo copione presso la casa editrice Feltrinelli (settembre 2004) con il titolo Omero, Iliade, facendolo per giunta seguire da un pezzo conclusivo (pp. 157-163), nel quale crede di interpretare proprio Omero.
Ecco che allora l’operazione comincia ad acquistare margini di equivoco. Egli afferma: «Per essere chiaro, vorrei dire che l’Iliade è un poema di guerra, lo è senza prudenza e senza mezze misure: e che è stata composta per cantare un’umanità combattente, e per farlo in modo così memorabile da durare in eterno, ed arrivare fino all’ultimo figlio dei figli, continuando a cantare la solenne bellezza, e l’irrinunciabile emozione, che era stata un tempo la guerra, e che sempre sarà. A scuola, magari, la raccontano diversamente. Ma il nocciolo è quello. L’Iliade è un monumento alla guerra». Poi aggiunge qualche notazione critica più fine: «È una storia scritta dai vincitori, eppure nella memoria rimangono anche, se non soprattutto, le figure umane dei Troiani»; e, ancora, scopre giustamente «tra le righe» l’emergere continuo di «un amore ostinato per la pace», e cita alcuni passi pertinenti.
Chiunque abbia studiato con un minimo di attenzione e di sensibilità il poema, sa che è ben altro e ben di più che un inno alla guerra, increspato da qualche rimorso di pace. E’ come dire che la Divina Commedia sia stata composta da Dante per fare propaganda cattolica, pur con qualche sana puntata anticlericale. Comunque, fino a questo punto, non mi sarei ancora allarmato: Baricco, con quella bocca, può dire quel che vuole! Senonché la sua “critica” ha scatenato un dibattito giornalistico, che lo ha seguito sullo stesso terreno, avvalorando quel giudizio forviante e riduttivo, finché nella provocazione è caduto in pieno un uomo dello spessore culturale di Eugenio Scalfari, il quale si muove sulle sue orme nelle pagine culturali della Repubblica (1 ottobre 2004), con inizio in prima pagina e sotto il titolo Iliade: la guerra tra orrore e bellezza.
Purtroppo, il titolo non è errore redazionale, ma rispecchia fedelmente il contenuto del pezzo. Peccato che uno dei più grandi critici del Novecento, Wolfgang Schadewaldt abbia iniziato l’introduzione alla sua splendida traduzione tedesca in versi con le seguenti parole: «L’Iliadetratta le vicende della guerra di Troia, cioè una successione ininterrotta di battaglie. Eppure non è un poema guerresco. Parla di eroi e dei loro destini, ma non è un poema eroico». Peccato che Omero stesso, nel proemio, chiarisca a scanso di equivoci che il suo tema poetico non è la guerra in sé, della quale nemmeno indugia a narrare l’epilogo, ma «l’ira di Achille», cioè un dissidio tragico tra eroi, nel quale entra in gioco tutta intera la loro personalità, dall’orgoglio ferito all’amore frustrato, con risvolti di carattere generale che investono questioni basilari di diritto, osservanza religiosa, lealtà dei comandanti verso l’esercito, correttezza costituzionale tra capo supremo e re confederati, valori la cui infrazione comporta la rovina della collettività nel suo insieme. Perché mai i Greci antichi, per i ben mille e quattrocento anni della loro storia, avrebbero continuato a farne, con recitazioni e letture scolastiche, il poema fondante della loro civiltà, se fosse stato solo un canto di guerra?
Mi piacerebbe un giorno poter illustrare la vera natura dell’Iliade a livello giornalistico: ma ora è di altro che voglio discutere. La divulgazione è un’ottima cosa, se è intelligente e competente: è anzi il sale della cultura, perché porta a livello di cultura media i risultati conoscitivi che lo meritino. Diviene invece pessima, se è banalizzante; ancora peggiore, se, come purtroppo è in questi ultimi sciagurati decenni, la singola operazione si iscrive in un processo univoco di banalizzazione della cultura, della politica e del costume. C’è anche un fatto di etica professionale. Perché persone, rispettabilissime e valide sotto altri profili, debbono impancarsi a critici letterari, pur risultando di evidenza palmare che sono del tutto incompetenti in materia? Perché il sistema consente loro la pubblicazione di sciocchezze ai massimi livelli dell’editoria? E perché il grande pubblico deve finire col credere che l’Iliade sia quella robina lì, e non quello che realmente è, un grande poema cosmico sulla vita umana e sul suo mistero? Anche l’Iliade, come la Divina Commedia, è un «poema sacro, al quale ha posto mano e cielo e terra».
Alludevo sopra alla banalizzazione politica. Ebbene, la banalizzazione critico-letteraria porta Baricco e Scalfari anche a quella. Sì, perché vogliono poi spremere una morale attuale da quella favoletta esopica cui hanno ridotto il racconto di Omero! Una morale attuale in rapporto alla nauseabonda guerra dell’Iraq (e dell’Afganistan). Dice Baricco: «Quel che suggerisce l’Iliade è che nessun pacifismo, oggi, deve dimenticare, o negare quella bellezza: come se non fosse mai esistita. Dire e insegnare che la guerra è un inferno e basta è una dannosa menzogna. Per quanto suoni atroce, è necessario ricordarsi che la guerra è un inferno: ma bello (corsivo nel testo)». Con la sua estetica bellicistica Omero, anticipando Marinetti, ha il merito oggettivo e involontario di svelarci qual è la ragione psicologica profonda del fatto che la guerra abbia ripreso a dilagare: nei risvolti del nostro cuore la amiamo; solo dopo aver preso coscienza di ciò, saremo in grado di elaborare un’estetica diversa, che ci porti fuori dal circolo vizioso: «Costruire un’altra bellezza è forse l’unica strada verso una pace vera. Dimostrare di essere capaci di rischiare la penombra dell’esistenza, senza ricorrere al fuoco della guerra. Dare un senso, forte, alle cose senza doverle portare sotto la luce, accecante, della morte». Dall’estetica dannunziana del rischio e del lavacro di sangue a una sana estetica della quotidianità: questa è la soluzione dei mali che ci attanagliano.
E qui Scalfari si diversifica finalmente da Baricco. Perché scendere così in basso, e avvilupparsi nella mediocrità? Meglio un’etica-estetica più elitaria, presentabile anche nei salotti di un certo livello: «Personalmente credo che si debba e si possa costruire un’altra bellezza ed è quella della conoscenza di sé e dell’amore per gli altri... L’Ulisse dantesco ha certamente potere, è un navarca e guida i suoi compagni. Ma dove li guida? Non verso la guerra che ha lasciato da tempo alle sue spalle. Li guida verso un viaggio misterico e iniziatico... Non è forse questa la nuova bellezza con la quale vincere i fantasmi dell’orrore e i cavalieri dell’apocalisse portatori di morte e di distruzione?». Ed è la chiusa del suo pezzo.
La banalizzazione di Omero ha portato così i due pubblicisti a una mistificazione ideologica vera e propria: i guai del nostro tempo, a cominciare dalle stragi del Medio Oriente, sono in realtà colpa nostra (cioè dei popoli), sono colpa dell’Omero che si annida in noi. Bisogna trovare una via di predicazione che ci redima, e sarà la pace. Una regressione davvero paurosa verso l’illuminismo e l’idealismo più ingenui! E l’aggressione americana? Il petrolio? L’apparato militare-industriale? I centri di potere multinazionale, interessati al controllo capillare del mondo? Ma queste, si sa, sono ubbìe del vecchio marxismo.
Nessun commento:
Posta un commento
Inserisci un tuo commento...